Una grandiosa opera in muratura e blocchi di pietra da taglio, alta 56 m. circa dal livello del corso d'acqua, per una lunghezza che supera i 50 m. Un'iscrizione collocata sul fronte nord consente la sua datazione all'anno 3 a.C. e ne ricorda il promotore e proprietario, un Caius Avillius Caimus Patavinus, cioè originario di Padova.
La struttura comprendeva un passaggio coperto, di 1 m. circa di larghezza, illuminato da strette finestre su entrambe le pareti, cui si accedeva da aperture provviste di serramenti lignei alle due estremità, quella del capo est in prosecuzione di un cammino esterno tagliato nella roccia.
Un canale superiore scoperto, con il fondo in lastre di pietra e le pareti impermeabilizzate, permetteva lo scorrimento di acqua captata da sorgenti situate sulla riva sinistra del torrente; a partire dal capo ovest è ancora possibile vedere resti del sistema idraulico di cui la struttura faceva parte.
La tesi di una connessione dell'opera con attività di estrazione e trattamento di materiale ferroso nell'alta e media valle di Cogne, per quanto comunemente accolta, non è provabile per l'età romana. Sulla base dei dati di cui si dispone, è ragionevole supporre, una funzione di ponte-acquedotto a breve raggio nel territorio, consistente nell'approvvigionamento idrico di un fundus, una proprietà terriera ipotizzabile nel sito del villaggio odierno. L'aggettivo privatum che campeggia nell'iscrizione ne definisce d'altronde in modo inequivocabile il carattere giuridico.
Successive modifiche al condotto e ai corpi di fabbrica (con l'apertura, fra l'atro di una postierla sulla fronte sud della struttura) indicano un funzionamento del sistema di captazione idrica ancora in età postclassica.
Rispetto ai 32 imponenti acquedotti dell'impero romano distribuiti in Europa, in Africa e in Medio Oriente, questa è un'opera monumentale unica nel suo genere sulla base dei seguenti inequivocabili elementi: